La prima grana di politica estera per Joe Biden arriva a due settimane dall’insediamento alla Casa Bianca del 20 gennaio – Nel giorno dell’anniversario dell’uccisione del generale Qassem Soleimani da parte dei servizi di sicurezza americani (3 gennaio 2020) l’Iran ha annunciato la ripresa – al più presto – dell’arricchimento dell’uranio fino al 20%: livelli che permetterebbero di costruire la bomba atomica.
Pressioni su Joe Biden
Si tratta di una mossa per mettere sotto pressione il nuovo presidente, spiega Federico Rampini su Repubblica, e per spingerlo a tornare nell’accordo nucleare voluto da Obama nel 2015 (il Joint Comprehensive Plan of Action, firmato da Iran, Usa, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Germania e Unione europea) e abbandonato da Donald Trump nel 2018. L’uscita da questo accordo ha poi giustificato una serie di sanzioni contro Teheran che pesano parecchio sull’economia del paese.
L’accordo del 2015
L’accordo prevedeva il ridimensionamento dei preparativi sull’uranio iraniano per dieci anni, in cambio di una progressiva rimozione delle sanzioni economiche contro l’Iran. L’accordo era fortemente osteggiato da Israele – che teme che le minacce di Teheran si trasformino in un attacco nucleare –, dall’Arabia Saudita, ma anche alcuni paesi e osservatori europei erano critici soprattutto per la durata troppo breve del blocco dell’arricchimento dell’uranio: l’assenza di impegni sul riarmo missilistico e l’appoggio di Teheran alle milizie terroristiche di Hezbollah.