
Le proteste in Polonia dopo la legge sull'aborto
Le donne smetteranno di lavorare finché il governo non farà marcia indietro
Le donne polacche hanno iniziato uno sciopero “a lungo termine” nel Paese dopo che una sentenza della Corte Costituzionale, lo scorso 22 ottobre, ha introdotto un divieto quasi totale all’aborto: l’interruzione della gravidanza sarà consentita ora solo in caso di stupro, incesto o se è dimostrato il rischio di sopravvivenza per la madre, ma non in caso di gravi malformazioni del feto.
Eppure, dati del ministero della Salute alla mano, 1.110 aborti legali sono stati effettuati in Polonia nel 2019 principalmente a causa di difetti congeniti del feto (per non parlare di quelli che avvengono illegalmente o all’estero che, secondo i gruppi di difesa dei diritti umani, si aggirano tra gli 80mila e i 120mila).
La protesta in sei giorni è arrivata ad interessare 150 città polacche dove gruppi di madre con il passeggino (ma anche tanti uomini) sfidano le restrizioni anti-Covid per rivendicare il diritto negato di poter decidere autonomamente del proprio corpo.
Proteste anche da parte dei partiti di opposizione, che il 27 ottobre si sono presentati in Parlamento con cartelli con scritto “Questa è guerra” o “Vergogna”.
Le regole dello sciopero “a lungo termine” decise da chi si oppone alla nuova sentenza prevedono che le donne stiano lontane da lavoro, scuola e faccende domestiche finché il governo non farà marcia indietro (la protesta si inspira a uno sciopero delle donne in Islanda nel 1975).
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I media locali dicono che il governo polacco sembra essere stato colto di sorpresa dall'entità delle proteste, che hanno anche contribuito a suscitare critiche insolitamente forti nei confronti della Chies. Proprio a questo proposito, un altro motivo di preoccupazione per Kaczyński arriva da Google: in questi giorni in Polonia la parola più cercata è “Apostazja”, apostasia, cioè l’abbandono formale e volontario della propria religione. Un colpo per una nazione così profondamente cattolica.