
Perché si protesta in Tunisia
Pandemia, crisi economica e politica, e un pastore maltrattato da un poliziotto a Siliana
Le proteste in Tunisia sono iniziate la notte del 15 gennaio.
Il motivo scatenante sono le misure restrittive per contenere la diffusione del coronavirus nel Paese, ma in realtà la pandemia ha solo contribuito ad esacerbare un malcontento più diffuso, radicato da tempo, nei confronti di un governo ritenuto responsabile della grave crisi economica e politica che ha messo in ginocchio il Paese.
Le misure anti-Covid sono entrate in vigore a cavallo del decimo anniversario dalle rivolte della primavera araba (nel 2011 fu rovesciato il regime di Zine El Abidine Ben Ali), impedendo di celebrarlo. In molti ritengono che dal 2011, malgrado le promesse da parte del governo di una gestione migliore dell’economia, sia cambiato poco. Anzi, le cose sono forse andate peggiorando: nel 2020 il PIL del Paese è crollato di nove punti percentuali, il costo della vita è aumentato, la disoccupazione è cresciuta costringendo molti giovani tunisini a cercare la fortuna altrove (dati del Ministero dell’Interno italiano alla mano, in Italia ne sono arrivati 7.890 nei primi nove mesi del 2020).
Secondo quanto riporta Al Jazeera, un altro motivo alla base delle proteste è un video girato nella città tunisina di Siliana in cui si vede un poliziotto spingere e maltrattare un pastore colpevole di aver fatto avvicinare troppo una delle sue pecore al palazzo del governo locale.
Alle barricate costruite dai manifestanti, alle auto e pneumatici bruciati per strada, il governo ha risposto finora schierando il proprio esercito, al quale è stato ordinato di aprire a gran forza cannoni d’acqua e gas lacrimogeni. Il bilancio degli arresti in cinque giorni, invece, è arrivato già a 632.
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