Si parla da alcuni anni, e se n'è parlato parecchio negli ultimi mesi, di "città dei 15 minuti" per esprimere, con uno slogan, l'idea di centri abitati dove tutto quel che serve ai cittadini, compresi la cultura e l'intrattenimento, sia raggiungibile, appunto a 15 minuti di cammino o – ancora più rapidamente – in bicicletta.
È un'idea suggestiva che può aiutare a rendere le nostre città più sostenibili e a farne un ecosistema nel quale sia più facile e piacevole vivere.
Prossimità
Gli urbanisti da tempo elaborano questo concetto, che Ezio Manzini, ex docente al Politecnico di Milano, preferisce identificare con l'espressione di "città di prossimità". In un libro uscito quest'anno, "Abitare la prossimità. Idee per la città dei 15 minuti" (Egea) Manzini spiega che questa città "per esistere (e resistere) deve fondarsi su tre pilastri fondamentali: comunità, cura e innovazione digitale. Concetti diversi, talvolta lontani, ma che non possono prescindere gli uni dagli altri nel dare vita a un futuro davvero a misura d’uomo".
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La politica e l'economia
Dunque, un concetto che si fa complesso e che chiama ovviamente in causa le decisioni politiche delle amministrazioni delle città, ma anche la struttura sociale ed economica e le impostazioni culturali.
No alle divisioni in parti specializzate
Manzini spiega sull'inserto "Il bello dell'Italia" del Corriere della Sera del 25 ottobre che attuare il progetto della città di prossimità richiede prima di tutto la rottura della visione di "città divisa in parti specializzate". Quella che ha allontanato, in nome dell'efficienza, i luoghi di residenza, di lavoro e di svago, dando vita alla "città delle distanze" che ha aumentato a dismisura il traffico ma ha creato anche una diffusa solitudine e "una crescente fragilità sociale".
In tutti i quartieri
Ma Manzini ci invita anche a tenere presente la necessità fondamentale che questo processo di formazione della città dei 15 minuti si foni sulla lotta alle diseguaglianze. In sostanza, "la città della prossimità non può essere appannaggio di alcuni quartieri privilegiati, o di alcune aree storiche in cui le cose sono (più o meno) già così, ma deve estendersi in tutte le sue parti. Deve diventare un diritto di tutti i suoi cittadini".
Ibrido fisico-digitale
Inoltre, il progetto della prossimità deve far proprio un uso equo ed efficace della tecnologia digitale che affianchi le relazioni fisiche fra le persone in modo da creare comunità nello spazio multiforme in cui agiamo. Per esempio le piattaforme digitali dovrebbero aiutare a "rendere possibili e probabili forme di comunità, di cura, di lavoro e di cultura capaci di generare la prossimità che vorremmo".
L'antidoto al "tutto a/da casa"
A proposito di piattaforma, conclude Manzini, va evitato il pericolo del "tutto a/da casa in cui si concretizza l'idea di un benessere accessibile attraverso prodotti e servizi da ricevere nel proprio spazio privato (mentre tutto ciò che sta intorno diventa un deserto sociale)". La città della prossimità è dunque un "antidoto non solo alle città delle distanze del secolo scorso, e di suoi successivi aggiornamenti, ma anche a quella del tutto a/da casa, e alla città di individui senza comunità, senza beni comuni e senza luoghi pubblici che esso prefigura".