
Trump: i "videogame violenti" responsabili delle stragi (non le armi!)
Dai tempi di Columbine i videogiochi capro espiatorio
Le due stragi “suprematiste” di Dayton e El Paso hanno riaperto il dibattito su come sia possibile arrivare a simili estremi.
Trump: “fermare i videogiochi violenti”
Più precisamente Trump ha detto - all’interno di un discorso più ampio nel quale ha additato responsabilità anche ai social media al web - che: “È necessario porre fine alla glorificazione della violenza nella nostra società. Questo include i videogiochi violenti che sono ora molto comuni”. Paventando così un legame tra le diverse tragedie e i videogames.
ESA: “nessuna connessione videogame-violenza”
L’Entertainment Software Association (ESA, associazione che riunisce le case che producono videogames) ha replicato al Tycoon diramando un comunicato, nel quale si rammenta che numerosi studi scientifici, come già chiarito nel 2018, non hanno trovato connessioni casuali tra videogame. Sottolineando anche come se più di 150 milioni di americani giocano coi videogames, nel mondo si sale a miliardi, ma nelle altre società non si registrano tracce di violenza paragonabili a quelle statunitensi.
Una “colpa” di lunga data
I videogiochi sono stati al centro del dibattito politico già dai tempi della strage di Columbine, e ad ogni strage sono stati tirati in ballo. Titoli come “Counter-Strike”, “Call of Duty” e “Grand Theft Auto” sono stati oggetto di pesanti critiche. E nel 2018 Trump aveva già puntato il dito contro i videogiochi dopo la sparatoria di Parkland, Florida, dove il razzista e islamofobo Nikolas Cruz il 14 febbraio entrò sparando alla Marjory Stoneman Douglas High School, mietendo 17 vittime.
Guardare il dito e non la luna
La ricerca non è mai riuscita a trovare relazioni tra videogiochi e sparatorie di massa. Già nel 2011 una sentenza della Corte Suprema stabili che non era possibile collegare comportamenti violenti e videogiochi. E in seguito le cose non sono mai mutate, anzi. Studi hanno determinato che riducono la criminalità.
Improbabile, ma resta il fatto che i videogames sembrano un capro espiatorio, tra i tanti, per deviare l’attenzione da quello che è un problema reale, ovvero il controllo sulla vendita e la detenzione di armi da fuoco, la “radicalizzazione”, le responsabilità della stessa politica e altri fattori che sicuramente concorrono a creare un contesto socio-culturale fertile per questo tipo di tragedie.